lunedì 2 febbraio 2009

CoNcLuSiOnE WEF

Da: La Regione Ticino
Davos, una Svizzera che scodinzola ai potenti?
di Claudio Rossetti

"A Davos, come ormai è tradi­zione, si è tenuto il WEF, il World Economic ( potremmo forse anche chiamarlo Exclusi­ve) Forum. Una grande passe­rella per uomini di stato, mini­stri, direttori generali, ex, stelle del cinema, ecc. Un appunta­mento che nessuno si lascia sfuggire e che per la Svizzera ovviamente rappresenta un’oc­casione unica ed esclusiva per entrare in tutte le case del mon­do, dal medio all’estremo orien­te, dalla Groenlandia alla Ter­ra del Fuoco. Tutti seguono i di­battiti, teletrasmessi dallo scia­me di giornalisti e troupe televi­sive, sui grandi temi che carat­terizzano il mondo di oggi e de­finiscono gli scenari del doma­ni. Dalle occhiate, più che dalle parole, dei grandi si possono individuare soluzioni a proble­mi o nuovi conflitti. Dietro le quinte, tra un cock­tail e un panino alla mensa del conference center, si muovono operosi i lobbisti che durante la settimana del Forum trovano il pane per i loro denti. Davos non è solamente, con le sue monta­gne innevate che toccano con garbo il cielo celeste, una loca­lità da cartolina, di più, è una cinecittà dell’innocenza, una fiaba a lieto fine. Un luogo spe­ciale e fin lì niente di male. I co­siddetti “genius loci”, c’è chi li chiama geomagnetici, nella sto­ria hanno avuto un ruolo im­portante nella mediazione e nel dialogo. La natura e la confor­mazione di questi luoghi hanno spesso avuto un influsso deter­minante nella ricerca di solu­zioni. Pensiamo, per esempio, ai trattati o ai colloqui di pace. Ma qual è il ruolo attribuito alla Svizzera in questo storico “ cortometraggio”? Quello del padrone che accoglie ospiti illu­stri cercando di trasmettere loro con calore un po’ dello spi­rito che vige in casa sua? Il Fo­rum rappresenterebbe per le no­stre autorità federali un’occa­sione d’oro per illustrare a que­sta esclusiva arena lo spirito svizzero. Una filosofia fatta di democrazia diretta, di federali­smo, di convivenza e coopera­zione, e non da ultimo, di un credo profondo nel rispetto dei diritti umani e nella lotta per la pace. Purtroppo la realtà è un po’ diversa. Un fatto che forse all’osservatore disattento è sfuggito, ma non all’opinione pubblica. Mercoledì, in occasio­ne della giornata d’apertura del WEF e di arrivo dei pezzi grossi del mondo economico e politico internazionale, ecco che nella tranquilla Davos ac­cade qualcosa davvero eccezio­nale. Alla libraia del paese, della caratteristica e centrale Dorf­strasse, viene ordinato dalla Po­lizia cantonale di togliere la ban­diera tibetana dalla vetrina e al­cuni libri raffiguranti Sua San­tità il Dalai Lama. Un sequestro che viene giustificato da impor­tanti ragioni di Stato! Una ba­nale bandiera che potrebbe irri­tare il primo ministro Wen Jia­bao, in procinto di passeggiare nelle vie del comune grigionese e reduce di un meeting dai risvolti economici avvenuto a Palazzo federale. Ragioni di Stato? Le stesse che hanno imposto un censimento dei giornalisti autorizzati alla conferenza stampa con l’alto funzionario cinese? Aggiungiamo pure che alla stampa era proibito porre domande sul tema tibe­tano. Da svizzero, felice di poter mostrare il passa­porto rosso ai posti di controllo più sperduti del glo­bo, mi chiedo se questo atteggiamento rappresenti lo spirito svizzero, quello che ha favorito la creazio­ne nel 1291 della Svizzera e dato avvio ad un confe­derazione che ancora oggi viene apprezzata e presa come modello di uno stato profondamente democra­tico e difensore dei suoi diritti fondamentali. I suoi fondatori sono stati coraggiosi, atteggiamento che oggi forse non troviamo più nei nostri politici. L’ar­ticolo 17 della nostra costituzione garantisce ad ognuno, per esempio, “il diritto di formarsi la propria opinione, di esprimerla e diffonderla sen­za impedimenti”. Ma allora, mi chiedo, perché essere sudditi di pressioni internazionali. Tengo a sottolineare che non si tratta di essere, nel caso specifico, a fa­vore della causa tibetana oppu­re seguaci del Dalai Lama, ma semplicemente difensori della li­bertà di pensiero. Costi quel che costi, è una questione di etica morale. Ma a Davos ho osservato un altro esempio di sudditanza fe­derale: al Forum si trova in visi­ta “uno dei figli” del leader libi­co Muammar Gheddafi, sottoli­neo non lui in persona. Dopo i fatti di Ginevra, le cui responsa­bilità sono ancora tutte da provare, la diplomazia svizzera ha pensato di giocare con i pezzi grossi. Il Presidente della Confederazione, Hans- Rudolf Merz, e la ministra degli esteri Micheline Calmy­Rey hanno tentato il tutto per tutto per giungere a una soluzione dell’affare libico. Mi chiedo: dob­biamo davvero inginocchiarci, per delle ragioni di Stato e penso per accordi economici, ai poteri della tribù del deserto libico? Una delegazione di diplo­matici, a ragion del sonoro insuccesso, sarebbe in­dubbiamente stata sufficiente e più decorosa. Deve la nostra Svizzera scodinzolare davanti ai poten­ti, per uscirne poi con la coda tra le gambe?"



Vergogna!

2 commenti:

syd779 ha detto...

Applausi per Rossetti, condivido appieno ("e ora tutti si ricorderanno che abbiamo una costituzione") c'era molto materiale per il boneff che però essendo di un altra testata giornalistica non ci ha dato dentro!

Ma é così che gira la storia? Dobbiamo leccare a destra e a manca per ingraziarci delle benemerite teste di cavolo?

Tristezza

eLtRiVuLziO ha detto...

ma poi onestamente é come prenderli per il culo oltre che metterci a pecora.. lo sanno com é la svizzera e quali sono tutte le polemiche sul tibet ecc ecc ecc oltre che illegale anticostituzionale e vergognoso é assolutamente inutile! Uno stratagemma da mercante del Far West..