Davos, una Svizzera che scodinzola ai potenti?
di Claudio Rossetti
"A Davos, come ormai è tradizione, si è tenuto il WEF, il World Economic ( potremmo forse anche chiamarlo Exclusive) Forum. Una grande passerella per uomini di stato, ministri, direttori generali, ex, stelle del cinema, ecc. Un appuntamento che nessuno si lascia sfuggire e che per la Svizzera ovviamente rappresenta un’occasione unica ed esclusiva per entrare in tutte le case del mondo, dal medio all’estremo oriente, dalla Groenlandia alla Terra del Fuoco. Tutti seguono i dibattiti, teletrasmessi dallo sciame di giornalisti e troupe televisive, sui grandi temi che caratterizzano il mondo di oggi e definiscono gli scenari del domani. Dalle occhiate, più che dalle parole, dei grandi si possono individuare soluzioni a problemi o nuovi conflitti. Dietro le quinte, tra un cocktail e un panino alla mensa del conference center, si muovono operosi i lobbisti che durante la settimana del Forum trovano il pane per i loro denti. Davos non è solamente, con le sue montagne innevate che toccano con garbo il cielo celeste, una località da cartolina, di più, è una cinecittà dell’innocenza, una fiaba a lieto fine. Un luogo speciale e fin lì niente di male. I cosiddetti “genius loci”, c’è chi li chiama geomagnetici, nella storia hanno avuto un ruolo importante nella mediazione e nel dialogo. La natura e la conformazione di questi luoghi hanno spesso avuto un influsso determinante nella ricerca di soluzioni. Pensiamo, per esempio, ai trattati o ai colloqui di pace. Ma qual è il ruolo attribuito alla Svizzera in questo storico “ cortometraggio”? Quello del padrone che accoglie ospiti illustri cercando di trasmettere loro con calore un po’ dello spirito che vige in casa sua? Il Forum rappresenterebbe per le nostre autorità federali un’occasione d’oro per illustrare a questa esclusiva arena lo spirito svizzero. Una filosofia fatta di democrazia diretta, di federalismo, di convivenza e cooperazione, e non da ultimo, di un credo profondo nel rispetto dei diritti umani e nella lotta per la pace. Purtroppo la realtà è un po’ diversa. Un fatto che forse all’osservatore disattento è sfuggito, ma non all’opinione pubblica. Mercoledì, in occasione della giornata d’apertura del WEF e di arrivo dei pezzi grossi del mondo economico e politico internazionale, ecco che nella tranquilla Davos accade qualcosa davvero eccezionale. Alla libraia del paese, della caratteristica e centrale Dorfstrasse, viene ordinato dalla Polizia cantonale di togliere la bandiera tibetana dalla vetrina e alcuni libri raffiguranti Sua Santità il Dalai Lama. Un sequestro che viene giustificato da importanti ragioni di Stato! Una banale bandiera che potrebbe irritare il primo ministro Wen Jiabao, in procinto di passeggiare nelle vie del comune grigionese e reduce di un meeting dai risvolti economici avvenuto a Palazzo federale. Ragioni di Stato? Le stesse che hanno imposto un censimento dei giornalisti autorizzati alla conferenza stampa con l’alto funzionario cinese? Aggiungiamo pure che alla stampa era proibito porre domande sul tema tibetano. Da svizzero, felice di poter mostrare il passaporto rosso ai posti di controllo più sperduti del globo, mi chiedo se questo atteggiamento rappresenti lo spirito svizzero, quello che ha favorito la creazione nel 1291 della Svizzera e dato avvio ad un confederazione che ancora oggi viene apprezzata e presa come modello di uno stato profondamente democratico e difensore dei suoi diritti fondamentali. I suoi fondatori sono stati coraggiosi, atteggiamento che oggi forse non troviamo più nei nostri politici. L’articolo 17 della nostra costituzione garantisce ad ognuno, per esempio, “il diritto di formarsi la propria opinione, di esprimerla e diffonderla senza impedimenti”. Ma allora, mi chiedo, perché essere sudditi di pressioni internazionali. Tengo a sottolineare che non si tratta di essere, nel caso specifico, a favore della causa tibetana oppure seguaci del Dalai Lama, ma semplicemente difensori della libertà di pensiero. Costi quel che costi, è una questione di etica morale. Ma a Davos ho osservato un altro esempio di sudditanza federale: al Forum si trova in visita “uno dei figli” del leader libico Muammar Gheddafi, sottolineo non lui in persona. Dopo i fatti di Ginevra, le cui responsabilità sono ancora tutte da provare, la diplomazia svizzera ha pensato di giocare con i pezzi grossi. Il Presidente della Confederazione, Hans- Rudolf Merz, e la ministra degli esteri Micheline CalmyRey hanno tentato il tutto per tutto per giungere a una soluzione dell’affare libico. Mi chiedo: dobbiamo davvero inginocchiarci, per delle ragioni di Stato e penso per accordi economici, ai poteri della tribù del deserto libico? Una delegazione di diplomatici, a ragion del sonoro insuccesso, sarebbe indubbiamente stata sufficiente e più decorosa. Deve la nostra Svizzera scodinzolare davanti ai potenti, per uscirne poi con la coda tra le gambe?"
2 commenti:
Applausi per Rossetti, condivido appieno ("e ora tutti si ricorderanno che abbiamo una costituzione") c'era molto materiale per il boneff che però essendo di un altra testata giornalistica non ci ha dato dentro!
Ma é così che gira la storia? Dobbiamo leccare a destra e a manca per ingraziarci delle benemerite teste di cavolo?
Tristezza
ma poi onestamente é come prenderli per il culo oltre che metterci a pecora.. lo sanno com é la svizzera e quali sono tutte le polemiche sul tibet ecc ecc ecc oltre che illegale anticostituzionale e vergognoso é assolutamente inutile! Uno stratagemma da mercante del Far West..
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